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News per Miccia corta28 - 01 - 2008 Morte di un dittatore sangue e corruzione in 30 anni di potere(la Repubblica, LUNEDáŒ, 28 GENNAIO 2008, Pagina 28 – Esteri) Ebbe sulla coscienza mezzo milione di morti nei
pogrom anticomunisti Impose il terrore reprimendo ogni forma di dissenso
Ma non ha mai subÃto un processo FEDERICO RAMPINI Lo definirono "il piú
grande cleptocrate della storia", una classifica della Banca Mondiale gli
attribuisce il record della corruzione personale fra tutti i leader del XX
secolo: dai 15 ai 35 miliardi di dollari sottratti alle casse dello Stato. Ebbe
sulla coscienza almeno mezzo milione di morti nei pogrom anticomunisti del
1965, altre 200mila vittime per l'annessione di Timor orientale nel 1975, e
un'ultima strage di 500 studenti nel maggio 1998 durante l'agonia del suo
regime. Haji Muhammad Suharto,
morto a Giacarta all'etá di 86 anni, nei 32 anni di potere fu uno dei dittatori
piú brutali e sanguinari dei suoi tempi. Era uno degli alleati strategici
dell'America nella guerra fredda, quando per la "teoria del domino" a
Washington si paventava il dilagare del comunismo in tutta l'Asia, e pur di
arginare il pericolo rosso tutti i metodi erano leciti. Con il suo pugno di
ferro seppe tenere insieme la quarta nazione piú popolosa del pianeta (200
milioni di abitanti), il piú grande paese islamico del mondo e uno dei piú
frammentati: 300 gruppi etnici, con 250 lingue diverse, distribuiti in un
arcipelago di 17.000 isole. Fu la globalizzazione a segnare
il suo tramonto politico, quando la crisi finanziaria asiatica del 1997 spazzó
via ogni residuo di consenso verso il regime e aprà la strada alla democrazia.
Eppure tuttora il bilancio dell'èra Suharto è un tabú per molti indonesiani e
sicuramente per una parte della classe dirigente. Alcuni continuano a chiamarlo
"il padre dello sviluppo", come lui stesso amava definirsi negli anni
"˜70. Pochi minuti dopo l'annuncio della sua morte, l'attuale presidente Susilo
Bambang Yudhoyono ha condotto in diretta televisiva una preghiera nazionale,
esordendo con queste parole: «Invito tutto il popolo dell'Indonesia a pregare
perché le buone azioni del defunto e la sua dedizione al paese siano gradite ad
Allah onnipotente. Suharto ha reso grandi servizi alla nazione». Nato sull'isola di Giava nel
1921 da una famiglia poverissima, quando l'Indonesia è ancora un colonia dei
Paesi Bassi, il giovane Suharto si arruola nell'Esercito Reale delle Indie
olandesi nel 1940. Tre mesi dopo Pearl Harbor i giapponesi invadono l'Indonesia
e conquistano rapidamente l'appoggio della élite nazionalista locale, in nome
di un fronte comune contro l'imperialismo "bianco". Suharto entra
quindi nel corpo dei volontari addestrati sotto il comando nipponico: è il
nucleo originario della resistenza armata che dopo la fine della seconda guerra
mondiale conquisterá l'indipendenza dall'Olanda. Nazionalismo e anticomunismo
resteranno i due collanti ideologici dell'esercito, la base di potere di
Suharto. Il primo ottobre 1965, mentre l'Indonesia è governata dal presidente
Sukarno, sei generali di estrema destra vengono catturati e uccisi in un
misterioso complotto. Suharto, uno dei pochi leader militari sopravvissuti,
indica nel partito comunista il mandante delle esecuzioni e prende il comando
delle rappresaglie. In pochi mesi vengono massacrati 500mila cittadini accusati
di appartenere al Pc, altre centinaia di migliaia vengono incarcerati o
licenziati dal lavoro. Anche l'importante minoranza etnica cinese viene presa
di mira dalle persecuzioni perché sospettata di essere la "quinta
colonna" di Mao Zedong nell'arcipelago. Due anni dopo Suharto prende anche
formalmente il posto di Sukarno. Da quel momento viene "riconfermato"
ogni cinque anni attraverso elezioni-farsa, in cui le forze d'opposizione sono messe
al bando e 100 seggi parlamentari sono riservati d'ufficio ai militari.
Nonostante il suo potere assoluto Suharto disdegna il culto della personalitá . Non vuole statue o piazze
intitolate al suo nome, e solo negli ultimi tempi del suo regime il suo volto
appare sulle banconote (non porterá fortuna né a lui né all'economia
indonesiana). La sua leggenda è costruita sul mistero. Il terrore che regna nel
suo Nuovo Ordine è fondato su una fitta rete di agenzie di spionaggio che
controllano ogni forma di dissenso e schiacciano la libertá d'espressione. Ma
se Suharto è discreto nella sua vita personale, non altrettanto puó dirsi del
suo entourage familiare. Un vasto clan di parenti controlla l'80 per cento
dell'industria di Stato e degli appalti pubblici, prelevando tangenti su ogni
affare. Per molti anni, malgrado la
corruzione, il bilancio economico di Suharto suscita invidia. Ha ereditato un
paese agricolo e sottosviluppato, lo trasforma in uno dei "dragoni"
del sudest asiatico, con tassi di crescita sostenuti. ሠbaciato da due
coincidenze fortunate. Anzitutto arriva al potere in piena escalation della
guerra del Vietnam. Gli Stati Uniti stravedono per un nemico del comunismo come
lui. Gli aiuti ufficiali che Washington gli fornisce annualmente raggiungeranno
i 4 miliardi di dollari. La seconda fortuna si chiama crisi energetica: i due
choc petroliferi del 1974 e del 1977 sono una manna dal cielo per l'Indonesia
che è uno dei grandi produttori di greggio del mondo. Nel 1986 tuttavia gli abusi
perpetrati da Suharto contro i diritti umani diventano una macchia imbarazzante
per Ronald Reagan, quando il presidente americano parte per un "viaggio
della libertá " in tutta l'Asia, con lo scopo di incalzare ideologicamente
il blocco dei paesi comunisti. A poche ore dall'arrivo di Reagan a Bali,
Suharto fa espellere dal paese il corrispondente del New York Times e due
giornalisti australiani che hanno osato raccontare le ruberie del regime. Nel 1989 la caduta del Muro di
Berlino rende «superflui» e sempre piú scomodi per l'Occidente i dittatori come
lui. Nell'euforia della nuova economia globale, l'Indonesia è uno dei paesi piú
esposti ai venti della speculazione internazionale. L'iperinflazione alimenta
le proteste sociali e giá nel 1996 - anticipando di un anno la «crisi asiatica»
- la valuta indonesiana crolla del 30 per cento. Si precipita a Giacarta una
task force del Fondo monetario internazionale; esige un piano di austeritá per
concedere 43 miliardi di dollari che salvino il paese dalla bancarotta. Suharto
li asseconda con una sua versione del rigore: tutti devono pagare fuorché la
sua famiglia. Nei due anni successivi la situazione precipita, con la
disoccupazione alle stelle e scontri sociali sempre piú violenti. «Almeno
questa crisi economica - commenterá l'intellettuale di opposizione Jusuf
Wanandi - Suharto non puó ucciderla a fucilate o rinchiuderla in carcere». Nel
1997 la deflagrazione della crisi thailandese scatena la fuga dei capitali da
tutta l'area, coinvolge l'Indonesia in un nuovo collasso finanziario, il panico
spinge le folle ad assaltare gli sportelli bancari. Suharto è finalmente
costretto a ritirarsi. Nel 1999 la nuova Indonesia riconosce l'indipendenza di
Timor orientale. Insieme a una lunga catena di
orrori, Suharto avrá lasciato in ereditá un certo pluralismo religioso: pur
essendo musulmano come l'80 per cento dei suoi concittadini, non volle mai
concedere spazio al fondamentalismo. Questo non ha impedito al gruppo
terrorista Jemaah Islamiyah di penetrare in Indonesia, "firmando" la strage
di Bali del 2002. Il dittatore è uscito di scena senza mai avere subÃto un
processo (ufficialmente esentato per motivi di salute) e senza mai avere
ammesso le sue colpe. I suoi eredi potrebbero perfino intascare 100 milioni di
dollari di indennizzo dal settimanale americano Time, condannato per
diffamazione da un tribunale indonesiano per aver osato riportare le stime
della Banca Mondiale sul bottino della famiglia Suharto.
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