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News per Miccia corta12 - 04 - 2007 ``L'amico di Gramsci nel gulag ha ispirato la svolta di Fassino``(
La figlia Luciana ha voluto rendergli giustizia
MICHELE SMARGIASSI
MILANO - La storia di una bimba senza paura ha rotto forse l'ultimo muro di smemoratezza rossa. Una storia vera, dimenticata, prossima a riemergere clamorosamente, che convoca su fronti opposti i nomi piú altisonanti della storia comunista, Gramsci e Togliatti, attorno alla tragedia dei gulag sovietici, e alla tragedia nella tragedia dei comunisti italiani che ci finirono per delazione dei loro compagni. Quando poche settimane fa Piero Fassino ha ricevuto le bozze di Una bambina contro Stalin, il libro che sta scrivendo (uscirá il 6 giugno per Mondadori) Gabriele Nissim, regista e saggista impegnato sul fronte della memoria del Novecento, deve esserne rimasto colpito. Al punto da decidersi a un passo che nessuno dei suoi predecessori osó fare: varcare la porta della vergogna. Dunque, Nissim, ha convinto lei Fassino a ricordarsi dei Gulag? «Di sua iniziativa, un anno fa, mandó una corona di fiori al parco Valsesia, a Milano, dove inauguravamo un memoriale alle vittime dei gulag. Disse anche cose importanti sulla necessitá di superare "ipocrisie e reticenze". Apprezzando quel gesto, gli mandai riservatamente le bozze del mio libro, assieme all'invito a venire il 29 giugno a Levashovo, vicino a San Pietroburgo, dove furono fucilate migliaia di vittime dello stalinismo e dove ora sorge il monumento ai "nomi restituiti". Qualche giorno fa mi ha telefonato: "verró senz'altro"». Che storia racconta il suo libro? «Quella di Gino De Marchi, comunista, regista di cinema, amico di Gramsci, spedito in Urss dal partito nel '21 perché giá in odore di dissenso, stritolato e infine ucciso il 3 giugno 1938 dalla repressione staliniana. E quella di Luciana, sua figlia, che dall'etá di tredici anni, cominció una disperata battaglia di veritá per rendergli giustizia, sulle cui carte si fonda la mia ricostruzione». Storia comune a molti rifugiati politici italiani in Russia. «Un migliaio gli internati italiani nei gulag: di cui trecento circa militanti comunisti. Storie giá raccontate, ma spesso trascurando un elemento fondamentale: molti furono denunciati dai loro stessi connazionali. De Marchi fu arrestato giá nel '22, con l'accusa infamante di essere una spia fascista: fu proprio l'intervento di Gramsci a tirarlo fuori di galera, un anno dopo. Ma nel '37 Gramsci non era piú in grado di salvarlo. Nel "club" degli italiani a Mosca si discuteva: qualcuno passó gli appunti di quelle discussioni ai sovietici. De Marchi fu arrestato di nuovo, condannato senza processo, fucilato a Butovo, anche se per anni le versioni ufficiali lo daranno morto di peritonite». Chi fu a denunciare De Marchi? «Non voglio ancora svelare tutte le carte del mio libro. Ma tutti sanno chi guidava il gruppo degli italiani a Mosca in quel periodo: i Robotti, i Roasio...». C'era anche Togliatti. «E nulla poteva essere deciso senza che lui lo sapesse». Come aveva reagito Gramsci alla persecuzione dell'amico? «Anche qui mi permetta di essere riservato. Nel libro ci sará un inedito gramsciano molto eloquente, scritto dopo il primo arresto. Vi si leggono riflessioni che furono la radice della sua successiva presa di distanza dallo stalinismo». Comunisti italiani sia vittime che complici dei Gulag? «áˆ il grande rimosso nella storia del Pci e dei suoi eredi. Per decenni mogli e figli dei perseguitati cercarono di ottenere dal partito la riabilitazione dei loro cari. Le loro invocazioni furono lasciate cadere. Ancora nell'87 Alessandro Natta rispondeva a Nella Masutti, moglie di Emilio Guarnaschelli, che "la riabilitazione non riguarda noi, bisogna chiederla al Pcus"». Cosa impedà a un Pci sempre meno filosovietico, e poi anche ai Ds, di affrontare una volta per tutte quel nodo spinoso? «Un senso di disagio, se non di vergogna, nei confronti di quei dirigenti che non solo abbandonarono, ma denunciarono i loro militanti per salvare se stessi. Nella migliore delle interpretazioni, fu la voglia di guardare avanti dimenticando gli orrori del passato. ሠchiaro che i nuovi dirigenti del Pci, e quelli dei Ds, sinceramente democratici, non portano responsabilitá per quei fatti. Ma evitare di fare i conti con le ereditá politiche è una responsabilitá morale grave». Cos'è cambiato adesso? Cosa ha convinto il segretario dei Ds? «Forse quella riflessione non era stata ancora chiesta con sufficiente forza. I libri servono anche a questo». Cosa si aspetta da Fassino? «Un gesto di grande moralitá : riconoscere le sofferenze dei parenti di quelle vittime, la dignitá della loro battaglia per tanti anni coperta dal silenzio».
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