(il manifesto)
Giuliano Pisapia
Stefano Gugliotta è libero. Un sospiro di sollievo
per lui, i suoi familiari e tutti coloro che ancora si indignano di
fronte all'ingiustizia e alle ingiustizie. Ma, anche, un senso di
angoscia e di rabbia se solo si pensa che Stefano, colpito da una
violenza gratuita, mai avrebbe dovuto essere privato della libertá . Si
affollano mille domande, una tra tutte: cosa sarebbe accaduto se, di
fronte all'ennesimo episodio di «macelleria cilena», non vi fosse stato
quel filmato che ha potuto ripristinare una veritá che si voleva
dolosamente nascondere. ሠtragico doverlo dire, ma è ancora piú
angosciante non poterlo negare. CONTINUA|PAGINA7 Di fronte alle parole
di piú poliziotti, e a un probabile verbale falso, per l'ennesima volta
l'impunitá della violenza avrebbe sopraffatto la veritá della ragione.
L'esperienza ci è maestra: di fronte alla prepotenza del potere, chi ne è
testimone - impaurito o intimidito - si volta, troppo spesso,
dall'altra parte o, guarda e poi sparisce.
Di fronte a un filmato
oggettivamente incontestabile, il Ministro dell'Interno intende
costituirsi parte civile contro il poliziotto fellone. Una scelta di per
sé apprezzabile, se non rasentasse la sfrontatezza, dal momento che
quanto accaduto è l'effetto proprio delle leggi volute da questo
governo; è il risultato di una cultura di cui è intrisa questa
maggioranza, che ha creato consenso proprio sull'ostilitá verso gli
emarginati, i deboli, i diversi, gli extracomunitari, i soggetti deboli,
chi non puó difendersi, perché la sua colpa è di essere su un motorino,
senza casco e «con la maglietta rossa». Stefano è vivo e libero; cosÃ
non è per Federico Aldovrandi, Stefano Cucchi, Aldo Bianzino, Giuseppe
Uva e tanti altri. Storie diverse, ma simili per la violenza subÃta da
chi, per conto dello stato, aveva il dovere di garantire la loro
libertá , la loro vita e, invece, ha usato la divisa per violentare il
diritto e calpestare i diritti.
Certo, non bisogna generalizzare, ma
non sono tollerabili il silenzio e l'omertá che dilagano anche tra le
forze dell'ordine, con la progressiva emarginazione di chi ancora si
batte per la democratizzazione delle forze dell'ordine. E la
responsabilitá è, innanzitutto, di chi ha approvato misure quali il
prolungamento del periodo di permanenza nei C.I.E. (dove l'abuso, la
violenza e la sopraffazione sono quotidiani), le ronde, il far-west
penale ed ha ripristinato reati, quali l' oltraggio a pubblico ufficiale
che la Corte Costituzionale, decenni fa, aveva definito «il prodotto
della concezione dei rapporti tra pubblici ufficiali e cittadini tipici
dell'ideologia fascista e quindi estranei alla coscienza democratica
instaurata dalla costituzione democratica».
Ecco perché non si puó
piú parlare solo di «mele marce» ma, piuttosto, di una involuzione
culturale che muove dall'alto, da chi ci governa. Ecco perchè la nostra
denuncia deve essere continua, ecco perché dobbiamo usare tutti gli
strumenti della democrazia per opporci a un abisso che ci sta
avvicinando a un passato che speravamo tramontato. La storia ce lo ha
insegnato: non si è mai troppo attenti alla difesa della garanzie
democratiche; ogni cedimento di fronte alla difesa di un diritto
determina un abuso maggiore che alla fine incide irreversibilmente sulle
regole della democrazia. E di ció, non dobbiamo dimenticarlo, è
responsabile anche chi si è opposto in Parlamento a leggi - quale quelle
sull'identificazione delle forze dell'ordine o del Garante delle
persone private della libertá - che sarebbero determinanti per porre un
freno a condotte vili, quale quelle di chi usa la forza per calpestare i
diritti e massacrare i corpi di chi non è in grado di difendersi.