di Francesco "Baro" Barilli
Come promesso, torno per un'ultima volta a parlare de
"Il segreto di Piazza Fontana". Se dico "per un'ultima volta" non è per
tranciare il confronto con l'autore del libro, Paolo Cucchiarelli (di
cui pubblicheró un'eventuale risposta con piacere, come ho fatto in
precedenza), ma perché credo che il nostro scambio di opinioni si sia
fatto via via sempre piú interessante, ma sia destinato a finire in una
palude in cui ognuno non schioda l'altro dalle proprie convinzioni.
Questa situazione è legittima; anzi, diró di piú e credo che Paolo
concordi: noi abbiamo fatto e stiamo facendo la nostra parte; ora sta
ad altri fare altrettanto...
Mi spiego meglio. Lui ha raccolto moltissimi elementi, quasi fossero i
tasselli di un puzzle da ricomporre. E' riuscito persino – bisogna
riconoscerglielo – a ritrovarne di smarriti. Quando si è trattato di
comporli in un quadro, ha tracciato un disegno che non mi convince
(come ho giá detto: non per motivi ideologici, ma logici), ma questa è
un'altra faccenda. In altre parole, del suo libro condivido in gran
parte la fase analitica; rispetto ma non condivido le conclusioni che
ne trae. Io pure ho raccolto elementi e fatto delle riflessioni. In
parte hanno costituito la critica al suo libro (prima nell'articolo
scritto con Saverio Ferrari e poi in altri commenti su questo blog), in
parte stanno costruendo, ormai da tempo, il libro che uscirá a
dicembre, e in quel momento potremo aprire un nuovo confronto.
Il punto è che io e Cucchiarelli (come Saverio, Giannuli e altri
ancora, ognuno con il proprio bagaglio di convinzioni ed errori, tutti
mossi da passione civile) abbiamo fatto quel che possiamo, seguendo
ognuno le proprie conoscenze e le proprie intuizioni, con tutti i
limiti di queste ultime. Non si puó chiedere a scrittori, giornalisti,
storici o mediattivisti di risolvere la questione. Ma se qualcuno
(nella Magistratura, nella politica o fra i testimoni dell'epoca)
volesse riprendere in mano la matassa e dipanarla, farebbe cosa
meritevole e, sono tentato di aggiungere, doverosa.
Dunque, in questa occasione non mi soffermeró troppo su temi giá
affrontati, in cui resterebbero irrisolti i punti di contrasto.
Affronteró invece il discorso in alcuni capitoletti (davvero degli
"appunti sparsi"). Magari si tratta di dettagli collaterali, ma credo
siano meritevoli di attenzione. Eccoli di seguito.
Appunto n. 1: Gli "errori pratici" de "Il segreto di Piazza Fontana
In uno dei miei commenti ricordo d'aver promesso che avrei segnalato
alcuni errori del testo. PRECISO che si tratta per la maggior parte di
cose secondarie. Le segnalo quindi non per fare "la maestrina dalla
penna rossa", e neppure per aprire polemiche su tali dettagli. Al
contrario, le segnalo con spirito costruttivo: si tratta di piccolezze
che Paolo, se vorrá , potrá facilmente correggere in una futura edizione
della sua inchiesta.
Giovanni o Osvaldo?
Pag. 346: il comandante partigiano detto "Visone" era Giovanni (non
Osvaldo) Pesce. Penso sia solo un lapsus. Se Paolo invece parla proprio
di un Osvaldo Pesce (che non conosco) non si tratta comunque del
comandante "Visone" (morto un paio d'anni fa; per chi non lo
conoscesse, leggere qui).
L'arresto di Ventura
Pagina 410: riporto testualmente: "Sapendo
delle rivelazioni di Lorenzon ... Giovanni Ventura attendeva di essere
arrestato per la strage. Lo sará solo nel marzo del 1972". Se ho
capito bene (e se ho controllato altrettanto bene: magari nel libro
Paolo riprende in altre parti questo dettaglio e lo spiega meglio – in
tale caso mi scuso con lui: mi sono fatto le mie note a margine sul suo
volume, ma in 700 pagine qualcosa in questo momento puó sfuggirmi)
Cucchiarelli fa risalire l'arresto di Ventura per Piazza Fontana
(la precisazione è importante, vedremo poi perché) al marzo 72, ossia
contestuale all'arresto di Rauti: non è del tutto esatto. Sul punto,
c'è molta confusione, anche in testi rispettabilissimi, causati a mio
avviso solo dall'aver dovuto incrociare elementi e notizie a distanza
dai fatti.
Andiamo con ordine:
- Lucarelli nel suo libro/dvd dice (pag 49) "nel marzo del 72 i magistrati di Treviso fanno arrestare F. Freda, G. Ventura e P. Rauti". Quindi sembra ritenere contestuale l'arresto dei tre.
- Sempre Lucarelli, nella cronologia, dice peró una cosa diversa, E' a
pagina 80: l'arresto di Freda e Ventura è datato 13 aprile 71, mentre
Rauti è in manette il 4 marzo 72.
- Dianese e Bettin nel loro libro ("La strage" – Feltrinelli) nella
cronologia e nell'appendice coi nomi (pagine 200 e 204) sembrano piú
precisi. Su Freda: "Viene arrestato per la prima volta il 12 aprile 71 ... Una seconda, nel marzo 72". Ma secondo me sbagliano pure loro (anche qui: è un dettaglio, nell'ambito di un lavoro ben fatto).
- Anche su Internet (Wikipedia) viene data la notizia SIA dell'arresto
di Freda e Ventura dell'aprile 71, SIA quello di Freda e Ventura
contemporaneo, o di poco successivo, a quello di Rauti del marzo 72.
L'arresto contestuale mi sembra sia menzionato anche nel libro di Calvi
e Laurent (ma in questo caso sto andando a memoria: non ho il libro
sotto mano).
Ho recuperato altre fonti, tra cui un articolo del Corriere della Sera
del 5 marzo 72, e sul punto mi sono sentito anche con Saverio Ferrari
che ha controllato i suoi documenti. Riporto e sintetizzo l'articolo
del Corriere: "Roma,
4 marzo ... hanno disposto di trasferire il giornalista Pino Rauti dal
carcere romano ... Rauti era stato arrestato IERI in relazione ai fatti
che, A SUO TEMPO HANNO CONDOTTO ALL'ARRESTO dell'editore Giovanni
Ventura ... e ... Franco Freda"
La situazione, in estrema sintesi, per come l'ho ricostruita insieme a Saverio, è questa:
- Freda e Ventura vanno in carcere nell'aprile 71 (il mandato di cattura è del 13 aprile)
- escono, per concessione della libertá provvisoria, nel luglio 71
- vanno ancora dentro nel dicembre 71, dopo che il 5 novembre viene
trovato il famoso deposito di armi nella soffitta di Castelfranco
Veneto (il nuovo mandato d'arresto è del 12 dicembre)
- 3 marzo 72: a Roma finisce in manette Rauti (Freda e Ventura sono ancora dentro, ma "solo" per armi e associazione sovversiva)
- 4 marzo 72: Rauti viene trasferito nel carcere di Treviso.
La domanda è: dopo il 3-4 marzo 72 peggiorano da subito anche le accuse
a carico di Freda e Ventura? In realtá parrebbe di no; o meglio:
peggiorano "implicitamente"; lo faranno esplicitamente in modo piú
graduale. E' chiaro che i magistrati avevano giá intuito che la loro
indagine li stava portando a P. Fontana, ma in quel momento - almeno a
livello di capi d'accusa ufficiali - le "carte" che emettono parlano
ancora solo di associazione sovversiva, detenzione armi e di attentati
"solo" fino all'agosto 69. Quindi, è sbagliato dire che nel marzo 72
Freda, Ventura e Rauti sono arrestati assieme (come dicono Lucarelli e
altri), ed è errato pure parlare dell'arresto del marzo 72 (arresto di
Rauti, NON di Ventura) come di un arresto "per Piazza Fontana": che i
magistrati avessero capito di essere sulla buona strada anche per
Piazza Fontana è pacifico, ma ufficialmente gli atti che emettono sono
piú prudenti e – giustamente – si limitano a quanto puó essere provato
fino a quel momento: le bombe di primavera-estate e la generica
associazione sovversiva.
Dopo il marzo 72, le indagini su Piazza Fontana passeranno
successivamente a Milano (D'Ambrosio - Alessandrini – Fiasconaro).
Rauti viene scarcerato il 24 aprile 1972 e verrá prosciolto in fase
istruttoria nel processo di Catanzaro. Freda e Ventura sono
ufficialmente incriminati per Piazza Fontana nell'agosto 72 e rinviati
a giudizio nell'agosto 74. Successivamente, la Cassazione decidi di
unificare i filoni (da una parte Valpreda ecc, dall'altra il "filone
nero") in un unico processo e da qui in avanti, come si suol dire, "è
storia".
La colpevolezza di Digilio
Su questo mi sono giá soffermato nell'articolo scritto con Saverio
Ferrari, e su questo particolare anche Cucchiarelli mi sembra aver
riconosciuto l'errore. Si tratta, come giá detto, di una faccenda
formale, ma non priva di significato: Digilio non va annoverato fra gli
assolti della strage; dal punto di vista puramente tecnico, al
contrario, è l'unico colpevole accertato processualmente (come giá
esposto: per aver svolto una perizia tecnica sull'esplosivo), pur
avendo ottenuto la prescrizione e pur essendosi visti riconoscere i
benefici dovuti alla sua collaborazione.
La tomba di Pinelli e l'antologia di Spoon River
Pag. 621: Cucchiarelli scrive che "sulla
tomba di Pino Pinelli c'è proprio una poesia di quell'antologia che, un
Natale, il Commissario Calabresi regaló all'anarchico". In realtá
la circostanza è diversa e fu spiegata sia da Licia Pinelli
nell'intervista rilasciata a Scaramucci ("Una storia quasi soltanto
mia") sia, se non erro, da Mario Calabresi in "Spingendo la notte piú
in lá ". Calabresi regaló a Pinelli "Mille milioni di uomini" (di Enrico
Emanuelli); Pinelli ricambió con l'Antologia di Spoon River (di Edgar
Lee Masters), che era il libro preferito non solo di Pino, ma pure
della moglie Licia.
Appunto n. 2: La banca deserta?
Ho giá detto, nell'articolo scritto con Saverio Ferrari, che il
ragionamento fatto da Cucchiarelli sui timer (da 60 e 120 minuti) è
molto interessante. Per precisione di cronaca riporto quel nostro
passaggio: "Cucchiarelli
fa una lunga dissertazione sui timer (da 60 e 120 minuti) comprati dal
gruppo di Freda e Ventura per Piazza Fontana e in generale per
l'operazione del 12 dicembre. In particolare si sofferma
sull'intercambiabilitá e sulla modificabilitá dei "dischi orari". Il
suo intento è dimostrare che un timer da 120 minuti potesse essere
trasformato in uno da 60, ingannando cosí un potenziale "attentatore in
buona fede", il quale si sarebbe convinto di posare un ordigno la cui
esplosione era stata programmata due ore dopo l'innesco, mentre in
realtá il tempo concesso alla detonazione era dimezzato".
Ora, peró, m'è venuto un altro dubbio. Vorrei evitare di "impelagarmi"
nuovamente in opinioni contrastanti sull'identitá di chi posa la bomba
col timer e pure sul fatto se questa sia "singola" o "raddoppiata".
Riporto quindi – solo per correttezza verso un eventuale lettore che
leggesse solo questo articolo senza conoscere nulla dei precedenti – le
due teorie in campo. Secondo Cucchiarelli quell'uomo è Valpreda e –
sempre a suo avviso – una seconda bomba, stavolta con innesco a miccia,
viene deposta accanto alla prima, forzandone l'esplosione prima del
tempo. Secondo me l'attentatore è uno solo; in ipotesi potrebbe
comunque trattarsi di un elemento di secondo piano nell'organizzazione
neofascista, e quindi – sempre in ipotesi – potrebbe comunque essere un
uomo convinto che la corsa del timer sia di 120 e non di 60 minuti
(ripeto: la cosa è molto piú complessa; per approfondimenti, vedere gli
articoli, i commenti, le risposte precedenti ecc.). Siccome non voglio
riaprire neppure la questione "attentatore doppio/ attentatore
singolo", e nemmeno quella sulla sua identitá , preciso che ora mi
soffermeró solo sull'uomo che porta la "bomba a timer" chiamandolo
Pinco Pallino: per la natura del mio dubbio, che vado di seguito ad
esporre, non conta né la sua identitá , né la sua matrice ideologica, né
il fatto che sia o meno l'unico attentatore.
Ecco il dubbio: la bomba esplode alle 16,37. Calcoliamo i "tempi morti"
a ritroso da quel momento. Alle 16,37 l'attentatore ha lasciato la
bomba e si è giá allontanato; prima si è seduto al tavolo e, per non
destare sospetti, probabilmente si è trattenuto lí per qualche minuto,
magari fingendo di dover compilare un modulo o di dover leggere delle
carte; prima ancora ha fatto un breve tragitto (in parte in taxi e in
parte a piedi; oppure solo a piedi: anche questo ora conta poco) per
arrivare alla banca; prima ancora ha innescato la bomba (oppure l'ha
ritirata dove è stata appena innescata; o ancora l'ha portata nel luogo
dove viene innescata e dove, di conseguenza, è partita la corsa del
timer).
Ora comprimiamo al massimo queste operazioni: secondo me ci vogliono
20-30 minuti. Quindi il timer comincia a correre fra le 16,07 e le
16,15. Forse un po' prima; difficilmente dopo. Dunque, Pinco Pallino
crede che il destino della bomba sia di esplodere fra le 18,07 e le
18,15, circa. Lui, peró, ha visto che la banca è piena zeppa di gente:
puó anche aver pensato che, di lí a poco, usciranno tutti, ma gli
impiegati?! Generalmente il venerdí si fermano oltre l'orario del
pubblico: devono chiudere i conti, sistemare le carte e i documenti
per il lunedí successivo. Se anche il "nostro" ha pensato che fra le
16,30 e le 17,00 usciranno i clienti, davvero non pensa che alle 18,00
o alle 18,30 non ci sia ancora il personale della banca?
A me sembra difficile che Pinco Pallino sia davvero convinto che
l'ordigno SICURAMENTE fará solo danni materiali alle cose (possono
avergli mentito, oltre che sull'ora dell'esplosione, anche sulla
potenzialitá dell'ordigno? Per caritá , come ipotesi ci sta pure
quella...).
Ripeto (e concludo, sul punto): il mio è solo un semplice dubbio che
non riesco a spiegarmi. Mi piacerebbe sapere il parere di Cucchiarelli,
su questa faccenda: magari qualcosa mi sfugge.
Appunto n. 3: La morte di Pinelli
Paolo Cucchiarelli ha scritto (se non sbaglio non solo in risposta
all'articolo firmato da me e Saverio, ma anche in riferimento ad altri
commenti) che ci sarebbe un certo imbarazzo nell'affrontare la sua
ricostruzione della morte del ferroviere anarchico. Ovviamente non
posso rispondere per altri e lo faccio solo per quanto mi riguarda.
Secondo me, e l'ho accennato nell'articolo con Saverio, dal punto di
vista della ricostruzione della dinamica della caduta Cucchiarelli ci
ha preso. Diró di piú: se leggete il giá citato "Una storia quasi
soltanto mia" vedrete che anche Licia Pinelli all'epoca (il
libro-intervista è del 1982) ipotizzó fra le altre anche una
ricostruzione simile: un alterco degenerato al termine
dell'interrogatorio (aggiungo che, come dice Cucchiarelli, "a logica"
l'indiziato maggiore per la colluttazione-alterco sembra davvero essere
Panessa). Paolo, dal canto suo, ha perfettamente ragione anche nel dire
che "l'ipotesi alterco" spiegherebbe anche quella specie di lapsus di
D'ambrosio, che nel formulare la versione del malore aggiunse una frase
sibillina (quasi "una voce dal sen fuggita") sul "gesto di difesa nella
direzione sbagliata". Una frase che m'aveva sempre portato molti dubbi,
che Cucchiarelli giustamente sintetizza in "ma difesa da cosa?!":
effettivamente è la prima domanda che una persona di buon senso
dovrebbe porsi...
Adriano Sofri, ne "La notte che Pinelli", sottolinea che, in realtá , in
quel momento l'interrogatorio non era alla fine ma – al contrario – in
una fase cruciale (anche su questo convergiamo pure io e Cucchiarelli).
Cruciale per che motivo? Paolo ha la sua teoria: in essa, le due bombe
scomparse del 12 dicembre spiegano sia i movimenti di Pinelli di quel
pomeriggio, sia la reticenza di Pinelli nello spiegare quegli
spostamenti, sia il fatto che in Questura le accuse e i toni nei suoi
confronti lievitano fino al drammatico epilogo. Anche in questo caso,
la ricostruzione di Paolo l'ho brutalmente sintetizzata: per migliori
specifiche rimando agli articoli precedenti, alle risposte di Paolo e
soprattutto al suo libro.
Personalmente credo invece che l'alterco che avrebbe originato la
caduta sia dovuto a un mix di situazioni: la testimonianza di Rolandi
su Valpreda; la certezza, da parte degli inquirenti, di dover stringere
i tempi, perché il giorno dopo sanno che Occorsio a Roma formalizzerá
il riconoscimento e quindi, da quel momento, si dovrá dire che l'intera
"macchina del terrore" (per citare un quotidiano dell'epoca) è stata
individuata; lo stress che, dopo lunghe ore e giorni di lavoro, spinge
la Questura ad accelerare i tempi e a non "andare troppo per il
sottile", per usare un eufemismo.
Tutti questi motivi, a mio avviso, rendono valida l'ipotesi di un
alterco particolarmente acceso, dopo quello che sente Valitutti circa
mezz'ora prima, indipendentemente dall'ipotesi che dá Cucchiarelli
sulle due bombe scomparse e sul ruolo di Pinelli nella giornata del 12.
La reticenza di Pinelli circa il suo alibi potrebbe essere spiegata
semplicemente con la volontá di tacere l'incontro con un personaggio
ambiguo (nonché compromesso e compromettente) come Sottosanti, ma
questa, sia chiaro, è solo una mia ipotesi.
Pure le menzogne di Guida e Allegra possono essere spiegate, come dice
Paolo, con l'esigenza di tacere l'indicibile. Ma, a mio avviso, puó
trattarsi anche solo del risultato imperfetto di una versione (peraltro
successivamente disgregata in piú versioni) rabberciata alla bell'e
meglio nella concitazione del momento. Ricordo una frase di Licia
Pinelli, sempre da "Una storia quasi soltanto mia": "Pino è stato il
granellino di sabbia che ha inceppato il meccanismo. Dopo la bomba di
Piazza Fontana avevano cominciato la caccia agli anarchici, che erano
la parte piú debole... la morte di Pino è stata un infortunio sul lavoro,
per loro sarebbe stato piú comodo metterlo in galera con gravi
imputazioni e tenerlo dentro per anni...". In altre parole: una morte
scomoda e ingombrante, che costringe i funzionari e i dirigenti della
Questura milanese a inventarsi delle pezze che, invece di coprirli,
evidenziano i buchi e ne fanno sospettare altri.
Per chi fosse interessato ad altre mie considerazioni sul caso Pinelli rimando a questi due articoli:
Spingendo la veritá storica un po' piú in lá . Lettera a Mario Calabresi
Recensione: "La notte che Pinelli", di Adriano Sofri
Appunto n. 4: Patmos e Pasolini
Bene ha fatto Cucchiarelli a ricordare quella poesia nel finale del suo
libro. Credo che se chiedessimo ad una qualsiasi persona, mediamente
acculturata ed appassionata a Piazza Fontana, di associare il nome di
Pasolini alla strage del 12 dicembre tutti risponderebbero citando "Io
so". Articolo bellissimo e giustamente ricordato, ma spiace constatare
che pochi sanno che Pasolini scrisse una poesia (forse è piú corretto
definirla poema) sulla strage. La scrisse di getto, quasi come uno
sfogo, immediatamente dopo il fatto e prima che il bilancio si facesse
ancora piú tragico (e prima ancora della morte di Pinelli), tanto è
vero che in Patmos sono menzionate solo 13 vittime (tre se ne
aggiunsero nei giorni seguenti e uno – Vittorio Mocchi – morí alcuni
anni piú tardi, dopo aver lungamente sofferto per le conseguenze delle
ferite subite; anche lui fu riconosciuto vittima della strage).
Credo possa far piacere a Paolo conoscere un aneddoto e
un'anticipazione. Confesso che pure io non conoscevo Patmos, fino a
quando non ne sentii recitare alcuni passi da Francesca Dendena, figlia
di una delle vittime, il 12 dicembre 2007, in occasione di
un'iniziativa in commemorazione della strage a cui ero invitato pure
io. La forza espressiva dei versi di Pasolini, unita al valore
simbolico del sentirli recitati proprio da Franca, mi colpí
profondamente. Quando, alcuni mesi dopo, un editore mi propose di
scrivere un racconto a fumetti su Piazza Fontana, accanto a molti dubbi
ho avuto, fin dall'inizio, una sola sicurezza: nel fumetto avrei
inserito alcuni passaggi da Patmos; in particolare il brano iniziale,
quello finale e tutti i riferimenti alla vittime... E cosí ho rivelato
una prima anticipazione del libro, svelando pure che si tratta di un
racconto a fumetti, che come ho detto in passato non sará una
controinchiesta, ma una sorta di omaggio che fonde la ricerca storica
con un livello piú "lirico" ed evocativo.
A questi appunti sparsi mancano ancora alcuni dettagli, ma mi sono
"rimasti nella tastiera" per questioni di tempo. Magari ci torneró piú
avanti, per ora è tutto.