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Immagini d'epoca dello sciopero Foto Ansa |
Salvatore Bonadonna
Quella mattina a Chiusa di Carlo - "Sant'Antuninu" , come la chiamano
gli avolesi per via dell'edicola al santo dedicata e posta al bivio per
la marina di Avola - il freddo era piú pungente degli altri giorni. La
sera prima, dopo l'assemblea, ero tornato a casa, a Siracusa, perché
era domenica e soprattutto perché l'indomani sarebbero venuti i
trasportatori a caricare i pochi mobili e i libri per il mio
trasferimento a Porto Marghera, la sede del mio nuovo incarico
sindacale. Era l'ultima vertenza che avrei seguito a Siracusa, ma non
potevo mancare il giorno dello sciopero generale, con questi braccianti
avevo un rapporto molto forte. Arrivai che ancora era buio. Peppe
Vaccarella, il segretario della Camera del Lavoro, una vita da
bracciante, era giá li con la sua coppola calcata sulla pelata.
Andiamo, come al solito, a prendere il caffè nel bar del riquadro della
Piazza riservato ai braccianti (si, perché in un altro riquadro, ci
stanno i commercianti, nell'altro i contadini coltivatori diretti,
nell'altro ancora gli agrari e gli altri proprietari e i
professionisti...).Peppe, è un uomo calmo, coraggioso e deciso, ma quel
giorno è inquieto: l'incontro sindacale di ieri, strappato al Prefetto
qualche giorno prima, si era risolto in una beffa: gli agrari avevano
mandato un funzionario per ribadire che, niente, non c'è un bel niente
da trattare. Poi era arrivata la polizia, i braccianti inseguiti in
piazza e nelle strade, la tensione salita al massimo, gli animi
esasperati, l'assemblea che proclama lo sciopero generale. I
braccianti, infatti, non hanno nessuna intenzione di cedere. La polizia
l'hanno respinta, e non fanno breccia nemmeno i "caporali" mandati
dagli agrari con pressioni e ricatti, e anche con promesse di premi in
danaro per chi avesse rotto il blocco e l'unitá .
Il momento è arrivato
Ormai è l'alba dello sciopero generale. Da quindici giorni inutilmente
l'agitazione va avanti in modo "articolato" , i tentativi di aprire la
trattativa sono stati vani. Il fronte agrario siracusano è fortissimo,
sostenuto , oltre che dalla Confagricoltura nazionale (con alla testa
il conte Gaetani), anche dal Prefetto, notoriamente legato agli agrari,
dal Ministro dell'Interno Franco Restivo, siciliano e uomo degli agrari. Peraltro,
quella dei braccianti di Avola è una vertenza decisiva,"pilota". áˆ
stata preparata con mesi di studio della Federbraccianti: la
piattaforma rivendicativa, discussa in decine di assemblee in tutte le
leghe bracciantili della zona Sud - da Siracusa a Noto a Pachino - è
impegnativa e risente del clima delle lotte studentesche ed operaie che
in quel '68 hanno segnato l'Europa e l'America. Anche nelle famiglie
dei braccianti è arrivato l'eco del Maggio francese, è il tempo in cui
si proclama l'unitá degli studenti e degli operai. Del resto, aria
nuova. In luglio, gli operai della SINCAT Montedison di Priolo hanno
scioperato, per la prima volta dopo la pesante sconfitta subita nel
'63, con gli stessi obiettivi conquistati al Petrolchimico di Marghera:
10.000 lire di aumento uguale per tutti sul premio di produzione. Aria
nuova. Si è rotto il muro della paura e della subordinazione. Fuori dalle "gabbie" e dal caporalato Aria
nuova. I braccianti di Avola li colgono, questi "segnali". Loro si
sentono discriminati, vogliono mettere in discussione quel vecchio
accordo sindacale, quello che divide la provincia in due zone: la zona
Nord, quella dell'agrumeto, attorno a Lentini, classificata "A", con un
salario giornaliero di 3.480 lire per sette ore e mezza di lavoro; e la
zona Sud, quella dell'ortofrutta, attorno ad Avola, classificata "B",
con il salario di 3.110 lire per otto ore di lavoro. Rivendicano, dunque, il superamento di quella "gabbia" ; e anche un aumento della paga del 10%, circa 350 lire giornaliere. Ma
la rivendicazione piú di sentita dai braccianti - sentita come
conquista di dignitá e di libertá - è la eliminazione del "caporalato",
è la istituzione della Commissione Sindacale per il Controllo del
Collocamento della manodopera, cosà da spezzare l'atavico ricatto sul
mercato del lavoro. ሠevidente, quindi, il motivo della resistenza
oltranzista degli agrari: vedevano messo in discussione il loro potere.
Per questo lo scontro fu durissimo e il risultato pagato ad un prezzo
altissimo: una strage con due morti e decine di feriti.
I picchetti e il blocco stradale
Da quando lo sciopero è stato proclamato ad oltranza, sono in funzione
i picchetti, sia sulle strade in uscita dalla cittá , sia su quelle che
scendono alla piana dai paesi di montagna. Picchetti come luoghi
strategici, di incontro, di discussione; là vengono bloccati i
tentativi dei crumiri fatti arrivare dai"caporali"; li si fa opera di
convincimento, si danno informazioni, si spiega la ragione della lotta. Il
blocco della resistenza bracciantile è diverso dal picchetto davanti
alla fabbrica o ad un ufficio. Qui il blocco è un momento operativo, di
organizzazione, Dal blocco, infatti, ogni mattina, partono squadre di
giovani compagni, generalmente in moto, per andare a controllare che
nelle aziende non siano entrati a lavorare i crumiri; e occorre
conoscere tutti i luoghi e tutte le trazzere, anche secondarie, le
diverse colture pronte per la raccolta nelle diverse aziende, la
collocazione delle serre e le vie d'accesso per evitare di essere
bloccati dalla polizia e dai carabinieri. Quando era il caso
d'intervenire dentro le aziende, per convincere i crumiri ad unirsi
alla lotta, l'auto della Camera del Lavoro, con gli altoparlanti, è in
testa a guidare la squadra di braccianti (ed è il momento per il
dirigente sindacale di mostrare sul campo coraggio e capacitá ).
Permettetemi di ricordare l'episodio: capitava pure, in quei giorni,
che agrari particolarmente arroganti e caporali particolarmente servili
minacciassero con i fucili le squadre di scioperanti; e fu
l'intelligenza ed il coraggio di tre giovani braccianti a sottrarmi, in
una circostanza, ad un sicuro pestaggio... Venerdà 29 il conflitto
si è fatto piú duro, la situazione sempre piú tesa; le notizie di
arrivi notturni di squadre di crumiri ha irrigidito il blocco sulla
strada di Avola; si temeva la vanificazione della lotta se i crumiri
avessero provveduto alla raccolta degli ortaggi anche in una sola
azienda. A quel punto, un centinaio di braccianti decide di fare un
blocco stradale sedendosi a terra. Inizia un lungo braccio di
ferro con le autoritá , il Prefetto in primo luogo. Non c'erano i
telefonini, allora, e le comunicazioni avvenivano tramite il Comune
nella persona del sindaco socialista Giuseppe Denaro, che era anche
deputato regionale. Talvolta, anche attraverso la radio della pattuglia
della polizia; quel giorno non era il clima adatto. Una
delegazione - formata dal Sindaco, dal deputato Nino Piscitello
segretario della Federazione Comunista, dal Pretore di Avola e dal
segretario della Federbraccianti Orazio Agosta - viene mandata dal
Prefetto a chiedere una convocazione urgente delle parti. Quando
tornano ci dicono che la convocazione è in corso e i braccianti, anche
se poco convinti, liberano la strada. Qualche ora dopo, ottenuto lo
sgombero, il Prefetto rinvia l'incontro all'indomani. E l'indomani gli
agrari non si presentano. Dice, beffardamente, il Prefetto: «Perché
impediti dai blocchi stradali». E quindi nuovo rinvio, prima martedÃ,
poi domenica. Altra beffa: arriva un funzionario della Associazione
Agricoltori, senza poteri e senza mandati, e ci dice che per loro non
c'è proprio nulla da trattare. Gli interventi di Denaro e di Salvatore
Corallo del PSIUP, deputati regionali, sulla Giunta non sortiscono
alcun effetto. Quelli sul governo Leone, dimissionario, ancora meno.
Dal canto nostro, noi, con i mezzi disponibili, chiamando dai bar coi
telefoni a gettone, ci teniamo in contatto con Carlo Cicerchia, con
Giacinto Militello, con Feliciano Rossetto dirigenti regionali e
nazionali della CGIL e della Federbraccianti che, a loro volta, cercano
contatti con il governo per sbloccare la vertenza (ciao Carlo, ciao
Feliciano, ve ne siete andati troppo presto). Diventa, dunque, inevitabile: l'assemblea di domenica sera proclama lo sciopero generale e il blocco di tutte le attivitá . Quando
arriviamo a Sant'Antuninu, il blocco è in corso, diverse migliaia di
braccianti sono là riuniti. Attorno ad alcuni fuochi, seduti sulle
pietre, mangiano pane e olive nere, formaggio, sarde salate. Nei
capannelli si commenta e Peppe, con l'altoparlante, parla dei motivi
della lotta, invita alla calma e alla autodisciplina.
Polizia e carabinieri attaccano, morti e feriti
La pattuglia di polizia e carabinieri, che staziona ormai dall'inizio
dei blocchi, ordina di sgombrare la strada; il funzionario presente fa
intendere che questa mattina arriveranno i rinforzi da Catania, il
reparto Celere. Siamo preoccupati perché quel reparto, l'anno prima, a
Lentini, il 13 dicembre, aveva sferrato un attacco immotivato e
proditorio, sparando e provocando feriti. E abbiamo la conferma che
purtroppo le nostre preoccupazioni sono fondate: arriva il Sindaco
Denaro, il quale, salutando con calore e ansia (persino me, dopo quasi
una anno di polemiche per la mia uscita dal PSI), ci dice che il
Prefetto D'Urso l'ha chiamato quasi per intimargli: «Il blocco della
strada deve sparire». Passa la mattinata in un crescendo di tensione; i
compagni di Priolo ci avvisano che i gipponi della Celere sono sulla
superstrada e stanno per arrivare. Il funzionario di polizia intima: il
blocco va tolto "costi quel che costi". Siamo preoccupati ma siamo anche piú di cinquemila; difficilmente la Celere tenterá una carica in queste condizioni, ci diciamo. Ma non sará cosÃ. Quando
i gipponi della polizia arrivano ad un centinaio di metri dal blocco,
gli agenti scendono armati di mitra, moschetti e zaini pieni di bombe
lacrimogene e si schierano come per una battaglia; prima fila in
ginocchio con i lacrimogeni innestati ai moschetti, seconda fila in
piedi con altri fucili e mitra. Non sono armati di sfollagente. Il
vice-questore Camperisi - divenuto famoso nella circostanza - è pronto
a comandare l'attacco. Il sindaco fa un estremo tentativo di convincere
il prefetto ad evitare un attacco che avrebbe potuto portare gravi
conseguenze sulla popolazione inerme, anche di donne e bambini, che si
era aggiunta al raduno. Ma lui è irremovibile; anzi, per tutta
risposta, gli chiede di dare man forte alla polizia per togliere il
blocco. ሠevidente che l'ordine viene dall'alto e non lascia
margini. Il vicequestore, sequestrando una betoniera ferma ai margini
della strada, ordina ai suoi uomini di posizionarla trasversalmente,
davanti al reparto schierato. Quando lo schieramento è pronto, indossa
la fascia tricolore e fa suonare i tre squilli di tromba: normalmente,
preludono all'ordine di sgombero; questa volta sono, invece, il segnale
dell'attacco. E da lÃ, da dietro la betoniera, parte una salva
impressionante di bombe lacrimogene; i braccianti rispondono con lanci
di pietre disperdendosi al riparo dei muri a secco che costeggiano la
strada e dividono i campi per scampare ai fumi dei lacrimogeni. E
lanciano pietre sulla strada per evitare che la polizia possa caricare
direttamente dalle camionette, come aveva cominciato a fare, creando il
panico in mezzo a migliaia di persone. Cerchiamo di metterci al riparo;
è inutile persino pensare ad un tentativo di parlamentare con la
polizia. I funzionari e i comandanti sembrano invasati, vogliono
colpire alla cieca, terrorizzare. Investiti dal gas dei loro stessi
lacrimogeni, i poliziotti lasciano la postazione dietro la betoniera e
vengono addosso ai braccianti sparando all'impazzata. Le pietre non
possono nulla contro le raffiche di mitra. Il vicequestore chiama
rinforzi, che arrivano alle nostre spalle; siamo presi tra due fuochi.
Noi inermi, con i lanci di sassi dei braccianti piú giovani e la
polizia armata che, con un ordine preciso, ormai inizia a sparare
raffiche di mitra e colpi di moschetto ad altezza d'uomo. Sparano
tutti, raffiche di mitra e colpi di moschetto ad altezza d'uomo;
sparano direttamente i funzionari con le loro pistole e, per spronare
gli uomini, uno di loro prende un moschetto dalle mani di un agente e
tira diritto su un gruppo che cerca riparo dietro un muretto. Mentre
i braccianti in fuga si disperdono nei campi e cercano riparo dietro i
muri a secco e qualche albero di ulivo, la polizia organizza un
inseguimento forsennato continuando a sparare; una sorta di feroce
caccia all'uomo. Cominciamo a sentire attorno le grida di dolore
dei feriti, i pianti, i lamenti, le imprecazioni, le urla selvagge dei
poliziotti; e gli spari e le raffiche. Gridiamo a squarciagola «basta,
ci sono feriti, forse ci sono morti». Proviamo a sventolare qualche
fazzoletto. Quando dopo quasi mezz'ora di quest'inferno, che
sembrava non dovesse finire mai, sentiamo smettere i colpi e i
comandanti richiamare gli agenti, intuiamo che la situazione è
drammatica, piú di quanto potevamo vedere dal nostro rifugio. Ci
organizziamo per raggiungere e soccorrere i feriti sparsi come in un
campo di battaglia. Le ferite sono tutte da armi da fuoco; i colpiti
perdono molto sangue. Alcuni sono in condizioni gravi. Ci sono macchine
in fiamme e altre crivellate di proiettili; anche le moto dei
braccianti addossate ai muretti hanno i serbatoi forati dalle raffiche
. Orazio Agosta ha visto cadere Sebastiano Agostino, un bracciante
colpito al petto, poco distante da lui. Si organizza, in ogni modo, con
le poche auto disponibili, di portare i feriti in ospedale. I reparti
di polizia, evidentemente paghi della loro impresa e anncor piú per
sfuggire all'indignazione generale anche di quanti accorrono dalla
cittá , si organizzano per tornare in caserma, portandosi dietro decine
di fermati. I feriti sono in un raggio di oltre trecento metri dal
blocco stradale e Giuseppe Scibilia, 47 anni, bracciante di Avola, è
morto colpito al petto a ridosso di un albero, a trecento metri dalla
strada. Il mio racconto in diretta dal luogo della strage finisce
qui:si sono fatte le quattro del pomeriggio e il camion del trasloco è
pronto a Siracusa, davanti casa; devo partire per Marghera. Ma sarei
tornato per la manifestazione di protesta e i funerali. E' il
segretario della Cgil, Gino Guerra, ad informarmi poi a Roma che in
tutta Italia sono in atto manifestazioni di protesta e si preparano
scioperi per l'indomani. Mi dice anche che gli agrari sono stati
costretti alla trattativa. E iI racconto che mi fa è tremendo: Angelo
Sigona, di 25 anni, è morto all'ospedale di Siracusa dopo essere stato
raccolto dietro un muretto colpito come per una fucilazione. Finiscono
in ospedale Paolo Caldarella, ferito alla mano che aveva alzato in
segno di tregua; Giorgio Garofalo con l'intestino perforato; Giuseppe
Buscemi, Rosario Migneco, Orazio Di Natale, colpiti, come Caldarella,
da colpi di pistola, quindi direttamente dai funzionari. Con queste
notizie prendo il treno della notte per Venezia. E arriva l'alba del
giorno dopo alla stazione di Mestre: la trovo presidiata dagli operai
in sciopero di protesta che chiedono il disarmo della polizia. E alla
SIRMA di Marghera arrivo alla fabbrica attraversando lo spettacolo
impressionante di blocchi stradali con i copertoni in fiamme e operai,
carichi di rabbia e di pietá , con le lacrime agli occhi. Nella fabbrica
entro trovandomi davanti duemila fonditori d'alluminio schierati,
silenziosi, su due file. Mi viene chiesto di portare la testimonianza
della giornata di strage. So dire solo che la prima fila di celerini
era in ginocchio e la seconda in piedi con i fucili spianati, quando si
è scatenato l'inferno. Un nodo alla gola e, finalmente, un pianto a
dirotto... E' in questo modo che sono entrato nel mio nuovo incarico. E'
la prima volta che scrivo di Avola. A quarant'anni di distanza, mi pare
giusto testimoniare per rendere omaggio a due braccianti caduti che non
hanno avuto neppure giustizia; ricordare una conquista, purtroppo
perduta rapidamente, e raccontare la condizione e la lotta dei
braccianti di Avola ai nuovi braccianti immigrati che vivono una
condizione persino peggiore. Quella lotta è parte costitutiva del
movimento che ha fatto fare un salto di civiltá al Paese e al mondo del
lavoro: ha portato allo Statuto dei Diritti dei Lavoratori, alla
riforma della scuola e dell'Universitá che ha acceso tante speranze. Quei
morti e quei feriti non hanno avuto giustizia; ma il neo Ministro del
Lavoro, Giacomo Brodolini, socialista di allora, era ai loro funerali e
Angelo e Giuseppe sono gli ultimi lavoratori uccisi dalla polizia in un
conflitto di lavoro. La tesi che quel massacro fu provocato da alcuni
agenti fuori di testa, come raccontó il governo in Parlamento,
ovviamente, non ha retto (chili di bossoli esibiti alla Camera sono
stati argomento convincente anche se non accettato). La parificazione
salariale, compreso il superamento della "gabbie salariali", bene o
male, ha resistito fino ad ora, anche se è messa in discussione. Il
controllo del Collocamento da parte delle Commissioni dei Lavoratori
non ha retto; piuttosto che garantire un avviamento al lavoro sulla
base delle prioritá oggettive e non sulla scelta discrezionale del
padrone, hanno preferito abolire il Collocamento Pubblico e istituire
quello delle agenzie private. Il caporalato, sconfitto ad Avola, ha
avuto la sua rivincita, si è "internazionalizzato", come il mercato del
lavoro. Tornare a leggere quello che è successo allora - e studiare
quello che avviene adesso - forse è la strada giusta per ricordare
quelli che hanno lottato e pagato con la vita. Ma non per fermarci a
celebrarne la memoria. |