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News per Miccia corta13 - 09 - 2008 Sansonetti: Dalla parte di Pino Pinelli (ma stavolta non di Sofri)(Liberazione, sabato
13 settembre 2008) Piero Sansonetti
A Roma - in genere nei corridoi della facoltá di Lettere -
c'era anche un fascista molto famoso, che si chiamava Marchesini. Era un ultrá cattolico. Aveva una quarantina d'anni ed
era molto robusto. Quando a Lettere si scatenavano delle risse, Marchesini
riusciva spesso a prevalere anche da solo contro dieci. Una volta - pare- Bucionero incontró Marchesini e gliele diede. Marchesini lo denunció. Al processo Bucionero spiegó che lui aveva solo risposto a
una aggressione di Marchesini. Il quale invece sostenne di essere stato
provocato da Bucionero, che gli avrebbe detto: «Marchesini, hai una scarpa e
una ciavatta...», , un modo di dire romano molto insolente. Al processo
sfilarono i testimoni. Bucionero negó con convinzione di avere detto quella
frase. Fu assolto. Subito dopo l'assoluzione chiese la parola. Disse: «Signor
giudice, è sicuro che sono stato assolto?». «Certo signor Bucionero», disse il
giudice. «E il processo - insistette Bucionero - e definitivo, non si puó
riaprire?». «Certo signor Bucionero, è definitivo», rispose il giudice. Allora
Bucionero salà su una sedia e gridó a gran voce, rivolto a Marchesini che era
presente in aula: «Marchesini, c'hai una scarpa e una ciavatta!». Fu un
trionfo... * * * Non so come mi sia venuta in mente questa storia. In realtáÂ
vorrei parlarvi di una cosa che non c'entra niente. Dell'articolo scritto
l'altro giorno sul Foglio da Adriano
Sofri a proposito del caso Calabresi.
Cioè del dirigente della polizia milanese che fu ucciso nel 1972 da un commando
terroristico, con delle revolverate sparate alle spalle. Calabresi era stato
tre anni prima al centro di un caso politico drammaticissimo e controverso: la
decisione della polizia milanese di arrestare gli anarchici per la strage di
piazza Fontana (12 dicembre 1969, 16 morti, compiuta dai fascisti con
l'appoggio dei servizi segreti e il sostegno dello Stato, come si accertó in
seguito), e successivamente l'interrogatorio violento e poi probabilmente
l'uccisione e la defenestrazione di Pino
Pinelli, leader degli anarchici. Come immagino tutti sappiate, quasi
vent'anni dopo l'omicidio, i giudici accusarono Sofri di essere il mandante del
delitto, e dopo un incredibile numero di processi (credo 12) Sofri fu
condannato in via definitiva a 22 anni, in gran parte scontati. Cosa dice, oggi, Sofri,
in questo articolo? Dice: l'uccisione di Calabresi non fu terrorismo. Perché?
perché «il terrorismo è l'impiego oscuro e indiscriminato della violenza al
fine di terrorizzare la parte supposta nemica e guadagnare a se quella di cui
ci si pretende paladini. In questo senso in Italia un terrorismo c'è stato» e Lotta Continua (cioè l'organizzazione
politica della quale Sofri era il capo) l'ha combattuto. Perché l'uccisione di Calabresi non fu «impiego oscuro e
indiscriminato della violenza»? Sofri, seppure con molta diplomazia, lo spiega
cosà (riassumo, ma senza modificare il senso del ragionamento): Luigi Calabresi era uno degli attori
principali di una «azione premeditata» volta ad attribuire agli anarchici
innocenti la responsabilitá di una strage organizzata invece dallo Stato. E
dunque - questa è una mia deduzione - la sua uccisione fu violenta, ma non
indiscriminata. Quindi non fu terrorismo. E infatti, spiega Sofri - torno a
citare testualmente - «fu l'azione di qualcuno che, disperando della giustizia
pubblica e confidando sul sentimento proprio, volle vendicare le vittime di una
violenza torbida e cieca...». Sofri, mi pare, opera una distinzione tra terrorismo e
giustizialismo violento, e rivendica la categoria del giustizialismo per
l'omicidio Calabresi. Su quali basi opera questa distinzione? Sulle
caratteristiche e sulla biografia delle vittime. Pretende- mi pare - di giudicare
le vittime, e dunque di inquadrare la loro uccisione in un diverso quadro
politico a seconda della loro biografia e della loro - diciamo cosà -
"Innocenza". Se capisco bene, uccidere Bachelet o Guido Rossa
(insigne e specchiato giurista cattolico il primo, operaio comunista il
secondo) è cosa diversa da uccidere un commissario di polizia, o un particolare
commissario di polizia. *** A me questo ragionamento di Sofri sembra pericolosissimo.
Azzera anni di discussione politica che ha impegnato tutti, anche settori di
quella che fu la lotta armata negli anni '70 e 80. E reintroduce nel dibattito
politico un'idea totalitaria di innocenza e colpa, e di gradazione del diritto
alla violenza, che puó portare ai piú terribili disastri culturali e politici. *** Dopodiché Sofri si chiede perché lo Stato italiano sia sempre pieno di riconoscimenti per la signora Gemma Calabresi - vedova del commissario - e non lo è per la signora Pinelli, la vedova di Pino. Su questo certamente ha ragione: fa bene lo Stato a rendere omaggio alla signora Gemma Calabresi- che anche coi suoi comportamenti ha meritato questo omaggio - fa malissimo a ignorare in modo evidente e altezzoso la signora Pinelli. Anche perché lo Stato è responsabile diretto della morte di Pino Pinelli. Perció intitoliamo questo articolo: «dalla parte di Pino Pinelli». Stavolta non lo possiamo intitolare :«dalla parte di Adriano Sofri», come abbiamo fatto tante volte in passato.
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